Garbage music

Oggi ho ritrovato una frase riportata sul mio libro di viaggio in India di un paio di anni fa, presa da «Sacred Music» di Alain Danielou, un libretto trovato in una fumosa libreria vicina a Ram Jhula, Rishikesh, dove mi trovavo a fare la mia formazione in Nada Yoga. Bevevo un chai in questo posto un po’ magico con vista al Gange, un pomeriggio di pioggia monsonica e ho trascritto quasi distrattamente questo:

“ the listener is responsible for what he hears, and the composer for what he creates”

questa frase ritrovata mi ha fatto riflettere moltissimo. Io considero che la vita dell’uomo è un pattern armonico, che la sua naturale inclinazione dovrebbe essere quella di scegliere quale musica è benefica per se stesso e quale non lo è per niente. «Sentire» in qualche modo l’effetto che certi suoni provocano al proprio corpo-mente.

Ma come accade nella società contemporanea con le imposizioni del mercato, la musica è soltanto un bene di consumo, è diventata, come tante altre cose, una necessità imposta. Costante, invadente e prepotente. E purtroppo non è neanche musica alta, di qualità o almeno rituale o spirituale. E’ solo musica che cerca di attirare l’attenzione del consumatore, con ritornelli pseudo-familiari, sovente vocale con testi che parlano d’amore (con una concezione dell’amore tra l’altro vuota e banale), ritmi semplici e suoni sintetici che fanno diventare l’ascolto inevitabile e assordante.

Tutto questo genera malessere, fisico, mentale, e di conseguenza, spirituale.

E’ alla stregua del cibo spazzatura, e quindi io la chiamerei “garbage music”.

Credo che inizia a essere il tempo in cui dobbiamo prendere coscienza del fatto che non possiamo continuare a usufruire o a usare la musica come un bene di consumo imposto. E’ irresponsabile (perché c’è ignoranza) da parte di chi vende la musica e di chi la compra. E io comincio a pensare che non sia così innocente il fatto di farci ammalare per poi venderci le medicine. Cioè la cura che il mercato impone. C’è una sadica correlazione tra il mantenere la popolazione un po’ malaticcia (senza farti morire, altrimenti non consumi più) e il venderle delle medicine costantemente. E qui, il mio collegamento mentale tra musica e salute, fa un altro saltino.

La musica e la medicina sono nate insieme!

Nella cultura Ippocratica, per dare degli esempi all’origine delle nostre scienze, la malattia non veniva ancora concepita come distinta dalla persona, cioè come entità separata, ma presa nella sua interezza e complessità. Cioè olistica.

Per Platone la vita dell’uomo è dominata dall’armonia e dal ritmo e la formazione musicale forgerebbe il carattere e l’anima della persona. Per i greci il mondo intero poggiava su principi musicali. Aristotele diceva che sentendo un qualsiasi strumento è possibile alleviare le tensioni psichiche.

E poi nella concezione di Ippocrate il concetto chiave è quello di equilibrio-squilibrio tra i vari umori, che possono garantire la salute o provocare la malattia. Ed è qui che la sua «armonizzazione» degli umori o le parti del corpo umano vengono «temperate» con i sistemi di misurazione musicali. E che attraverso la musica si può «sintonizzare» dette parti del corpo.

In Ippocrate* (Veggetti, Il pensiero di Ippocrate) leggiamo testualmente che una volta che “siano entrate in un sistema armonizzato” (intendi: le parti del corpo umano) secondo rapporti musicali esatti, nel quale cioè appaiano le tre consonanze, quarta quinta ed ottava, esse vivono e si accrescono mediante gli stessi alimenti di cui fruivano precedentemente. Se invece non entrano in un sistema così armonico, se cioè il suono grave non è in consonanza con l’acuto nel primo intervallo o nel secondo o nell’ottava, il fatto che uno solo sia falso fa sì che tutto l’accordo non regga; non può infatti accompagnare il canto. Le parti in tal caso passano dal maggiore al minore prima del tempo poiché non sanno quello che fanno».

O nell’Ayurveda, i dosha (in sanscrito दोष, doṣa), che sono le tre sostanze vitali presenti nell’apparato psico-somatico di ogni persona: Vata, Pitta e Kapha e servono per pervenire ad una diagnosi e per trovare i rimedi per ristabilire nell’organismo il “prakriti” (appunto lo stato primitivo di equilibrio), si armonizzano (oltre che con l’alimentazione) anche grazie alla musica. In India sono i suoni che risvegliano i meccanismi di auto guarigione. La coscienza è suono ininterrotto che da la vita al mondo materico.

In tutte le culture la musica ha una funzione terapeutica, e in molti rituali accompagna la nascita e la morte degli individui. E’ sempre stata generatrice di trance, grazie al suo potere di generare stati alterati di coscienza che aiutano a dissolvere le illusioni della mente.

L’orecchio è il primo senso che si forma nel ventre materno ed è l’ultimo che si perde quando lasciamo questo mondo. Per questo in molte culture si accompagna il morente con musica per fare più piacevole il suo viaggio nell’aldilà.

Rileggendo in questi giorni Curt Sachs, l’etnomusicologo tedesco ne «Le sorgenti della musica» mi sono imbattuta in delle riflessioni inevitabili che anche a me sgorgano ogni volta che mi siedo in un bar o faccio una chiamata burocratica al telefono:

«la vita moderna è satura fino alla nausea di musica e sedicente musica (…) Ma persino mentre prendiamo una tazza di caffè siamo costretti a subire continuamente l’interferenza chiassosa degli altoparlanti e dei juke-box (…) Gli uomini più civilizzati sono divenuti uditori voraci, ma non ascoltano più. Usando il suono articolato come una specie di droga, abbiamo dimenticato di esigere significato e valore in ciò che ascoltiamo»

E questo lo scriveva a metà del 900… indovinando in qualche modo la deriva consumistica della musica che avrebbe portato alla perdita totale della funzione della stessa, l’avrebbe spogliata di significato culturale e spirituale e relegata a puro intrattenimento da comperare ai soliti capitalisti che vogliono solo arricchirsi sempre di più a costo della nostra salute psicofisica.

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