Ascolto Sacro

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Il suono nasce dalla vibrazione di un corpo elastico nell’atto di sfregarsi contro un altra superficie. Queste vibrazioni producono una successione di compressioni ed espansioni delle molecole dell’aria o qualsiasi sostanza solida, liquida o gassosa. Si generano così delle onde sonore che arrivano alla membrana del nostro udito che le «traduce» trasformando i segnali in impulsi nervosi che vengono rielaborati dal cervello in suoni comprensibili.

Ascoltare quindi significa ricevere e tradurre quelle oscillazioni all’interno del nostro stesso corpo, cioè farle nostre e vibrare in simpatia. 

Nell’ascolto della musica (soprattutto dal vivo) noi stessi quindi diventiamo vibrazione, e propaghiamo ulteriormente questo arousal ad altri corpi. Cioè diventiamo parte della risonanza, la amplifichiamo. Attraverso l’aria.

Non è questo un fenomeno meraviglioso che ci ricorda che siamo una cosa sola con il pianeta, cioè con tutto quello che vibra e si trasforma, trasformandoci?

Viviamo in un’epoca dove manca un approccio ecologico al suono, una presa di consapevolezza dell’atto di ascoltare, siamo bombardati di rumore, di musica sintetica, fatta male, tutta uguale, e addirittura sempre digitale. C’è poco ascolto di musica acustica, dal vivo (oggi più che mai). 

Considero urgente una ri-educazione all’ascolto, ma non come interpretazione intellettuale degli stili, le epoche, la cosa culturale intorno ai gruppi o compositori di musica. Benché indispensabile per crearsi una base alla quale attingere per poter accedere ad un consumo un po’ più sofisticato di composizioni. Io sento l’esigenza di generare un’educazione all’ascolto puro, completo, totalizzante. Parlo di sentire le vibrazioni sulla pelle, nel cuore, nel corpo sottile.

Ascoltare e sentire anche i suoni del mondo, scoprire quanto sono musicali i giochi delle frasi vocaliche, gli uccelli di mattina in mezzo alla campagna, i grilli in una sera estiva, il respiro del mare, il vento tra le foglie in un pomeriggio di autunno… cioè leggere la realtà da un punto di ascolto musicale. Partecipare attivamente a questa sinfonia vitale alla quale siamo stati invitati.

Un ascolto che ci permetta di stare nel momento presente, per non perderci nulla di questo passaggio terreno, fare risuonare questo corpo che ci hanno prestato. Per vivere completamente, o per sbaragliare ciò che vita non era, come direbbe il caro Thoreau.

“Turiya” si chiama tra gli yogi quello “stadio di coscienza più sottile”, che supera lo stato di veglia, di sonno, e di sonno profondo. I tre stati della coscienza. Turiya sarebbe il quarto stato, cioè il silenzio che c’è tra un suono e un altro. Lo spazio «tra» un canto e l’altro.

E’ lo stato di trascendenza che segue alla produzione del suono, ed è profondamente estatico quando si è consapevoli di questo, soprattutto nel istante immediato alla fine di una meditazione sonora.

Io ritorno inevitabilmente alla nostra Alice Coltrane (pianista jazz che ha fondato in California il Centro Vedanta) per parlare del suo “Turiya e Ramakrishna”. Ascoltatelo e sentite il crescendo fino al minuto 4.16 dove entra un solo di basso (Ron Carter) che rimane sospeso, sostenuto dai tamburi e gli appoggi armonici del piano di Alice. Non ho una illustrazione migliore per la sensazione di Turiya. Secondo me qui hanno ricreato lo stato di trascendenza: 

Le pause in musica sembrano attrarre qualcosa verso di sè, come se il vuoto diventasse magnetico vero i suoni futuri e passati, un vortice irresistibile. E in quelle pause noi respiriamo lo spirito della musica e se ne siamo consapevoli, perché stiamo ascoltando attentamente, diventiamo tutt’uno con il cosmo. La pausa rappresenta la coscienza cosmica. Questa è Turiya. E’ in questo modo che gli stati di veglia, sogno e sonno profondo si fondono nell’Unità dell’Assoluto.

 Ascoltando musica strumentale dal vivo, il canto, i mantra, i Bhajans, i Kirtan, ma anche il vento, la pioggia, il canto degli uccelli in natura o addirittura il “suono del silenzio” quella vibrazione eterna, il sibilo dell’universo, ci immergiamo in uno stato meditativo profondo dove si perde la sensazione di separazione del corpo dal resto del mondo e si ha una piena e profonda consapevolezza.

In questo momento storico dobbiamo più che mai recuperare la sacralità dell’ascolto, dobbiamo rendere sacra la partecipazione ai concerti, recuperare la concentrazione totale, la compresenza nel rendere propria la vibrazione emessa da un altro corpo o strumento musicale. Dobbiamo recuperare la sensualità dell’ascolto. Dobbiamo rendere spirituale la musica. Non importa il genere, anche un concerto punk può diventare sacro, perché sacro è il rituale del donare la mia completa presenza nella condivisione e la ricezione di quella vibrazione sonora proposta durante la performance.

Perché sacro è il suono e l’inizio di tutto fu un verbo.

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